domenica 31 dicembre 2006

Someday

THE STROKES
"Someday"

In many ways, they'll miss the good old days
Someday, someday
Yeah, it hurts to say, but I want you to stay
Sometimes, sometimes

When we was young, oh man, did we have fun
Always, always
Promises, they break before they're made
Sometimes, sometimes

Oh, My-ex says I'm lacking in depth
I will do my best
You say you wanna stay by my side
Darlin', your head's not right
See, alone we stand, together we fall apart
Yeah, I think I'll be alright
I'm working so I won't have to try so hard
Tables, they turn sometimes

Oh, someday...

No, I ain't wastin' no more time

And now my fears
They come to me in threes
So, I
Sometimes
Say, "Fate my friend,
You say the strangest things
I find, sometimes"

Oh, My-ex says I'm lacking in depth
Say I will try my best
You say you wanna stay by my side
Darlin', your head's not right
See, alone we stand, together we fall apart
Yeah, I think I'll be alright
I'm working so I won't have to try so hard
Tables, they turn sometimes

Oh, someday...

I ain't wasting no more time

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"Alcuni giorni"

Per parecchi motivi, loro rimpiangeranno i bei tempi andati
Alcuni giorni, alcuni giorni
Sì, fa male a dirlo, ma voglio che tu rimanga
A volte, a volte

Quando eravamo giovani, amico, ci divertivamo
Sempre, sempre
Le promesse, loro le hanno infrante prima ancora di farle
A volte, a volte

Oh, la mia ex dice che non sono affatto profondo
Farò del mio meglio
Tu dici che vuoi stare dalla mia parte
Cara, la tua testa non è del tutto a posto
Guarda, siamo rimasti soli, insieme cadremo a pezzi
Sì, penso che starò bene
Sto funzionando e quindi non dovrò provarci fino in fondo
Le situazioni, a volte si invertono

Oh, alcuni giorni...

No, non sprecherò più tempo...

E adesso i miei timori
Sono diventati il triplo
Io idem
A volte
Dico, "E' il destino, amico mio,
Trovo che a volte tu dica cose astruse,
A volte"

Oh, la mia ex dice che non sono affatto profondo
Io le rispondo che farò del mio meglio
Tu dici che vuoi stare dalla mia parte
Cara, la tua testa non è del tutto a posto
Guarda, siamo rimasti soli, insieme cadremo a pezzi
Sì, penso che starò bene
Sto funzionando e quindi non dovrò provarci fino in fondo
Le situazioni, a volte si invertono

Oh, alcuni giorni...

No, non sprecherò più tempo...

giovedì 28 dicembre 2006

Marty

Dylan Dog, Albo Mensile #244, Gennaio 2007
Marty
Gennaio 2007: Albo mensile #244, Marty. Soggetto: Tiziano Sclavi e Cristina Neri; Sceneggiatura: Tiziano Sclavi; Disegni: Giampiero Casertano; Copertina: Angelo Stano. ♠♠♠♠♠
Julian Kidd è giovane, bello, ricco e molto, molto vendicativo! Non provate ad essere scortesi, con lui… la paghereste cara, facendo una fine poco piacevole, probabilmente bagnata dal vostro stesso sangue! Marty Kevorkian è un pensionato, grassoccio e dall’aria un po’ triste. Di carattere mansueto, vive in un’abitazione modesta e sulla sua agendina ha scritto il nome di un solo amico: Dylan Dog. Può esserci un legame tra due vite così distanti come quelle di Julian e di Marty? E perché Dylan, in questi giorni, è colto da una profonda malinconia?...

Terzo albo firmato Tiziano Sclavi —che succede a Ucronìa (#240) e L'assassino è tra noi (#243)— dopo il suo acclamato ritorno del 2006 alla scrittura per l'Indagatore dell'Incubo. E se con il suo primo lavoro aveva lasciato intravedere il suo stile classico senza tuttavia far gridare al capolavoro e col secondo era riuscito a dividere le opinioni dei fan dylaniati tra chi gridava al capolavoro e chi al plagio meschino, con questo Marty possiamo affermare senza esagerazioni che se Tiziano non ha sfornato un capolavoro ci siamo comunque davvero vicini.
Il soggetto non è originale ma è quello che desideriamo che Sclavi ci metta davanti agli occhi come nei bei tempi che furono: in un'era caratterizzata da un Dylan sempre più alle prese con thriller gialli (Barbato) e giochini "trova-il-colpevole-prima-di-pagina-90" (Ruju), Sclavi ci mette ancora una volta di fronte a uno degli orrori più grandi dell'umanità: l'indifferenza, l'emarginazione, l'odio, la non-vita. L'empatia.
La sceneggiatura è magistrale —ogni singola battuta è studiata con cura e la storia è appassionante come raramente succede— e la trama si divide su tre livelli: i pensieri di Dylan, la vita di Marty e i delitti di Julian; livelli che alla fine coincideranno in uno unico, culminando in un finale veramente ardito.
Infatti, come nello scorso albo (L'assassino è tra noi, #243) ci troviamo di fronte ad un finale spiazzante, che mette in discussione tutto quanto detto in novanta pagine. Ma è un finale più positivo o più negativo di quanto immaginavamo? Voglio dire, è cosa peggiore che ci sia veramente un tale che uccide senza pietà o il fatto che chiunque, CHIUNQUE, anche un mansueto vecchietto come Marty, possa odiare, desiderare e immaginare la morte di qualcuno, volere vendetta sanguinaria e trarre godimento da ciò?
La verità è che questa seconda opzione è molto più terribile, è una sorta di disillusione totale verso il genere umano, una sorta di "bug" inserito in ognuno di noi dalle circostanze e dalle occasioni della vita, ma -diciamo così- il tessuto cerebrale umano è un campo fertilissimo per il seme dell'odio e della violenza.
Bentornato Tiz.

voto: 9

martedì 19 dicembre 2006

Pete Doherty

da www.Repubblica.it

"La prigione è come stare all'inferno sulla terra"
Genio, poesia e perdizione
Pete Doherty, l'ultimo maledetto

dal nostro inviato GINO CASTALDO

LONDRA - Il più oltraggioso cantante rock al mondo ci riceve in un albergo fuori mano, in una zona vagamente sordida dell'East End. "Hi!" dice aprendo la porta e porgendo una mano efebica, leggera come una piuma. Malgrado la sua tremenda fama oggi Pete Doherty non spacca bottiglie, non usa microfoni come clave, è mansueto, perfino dolce ("è un miracolo" ci suggerisce l'addetto stampa della sua etichetta, la Rough Trade). Ma le stranezze non mancano. Nella stanza c'è un motorino Piaggio, ("Sì, è italiano, mi piace molto" dice Doherty con l'aria di un bambino che ha appena commesso un'impertinenza). Più che parlare sussurra, sembra dover alzare il sipario da una coltre oppiacea, si raggomitola, si alza, cammina per la stanza, accende il motorino, maneggia una manciata di copie del nuovo album del suo gruppo, i Babyshambles, (sarà nei negozi l'11 novembre, titolo "Down to Albion") che gli cascano per terra. Non sembra vero di essere al cospetto di una vera rockstar decadente.

Da ogni suo gesto si intuisce il perché di tanta dissolutezza: si sente un poeta, libero da costrizioni morali. Pete Doherty sembra uscito da un leggendario passato di cantanti rock fatti di genio e perdizione, è femmineo, magrissimo, lo sguardo illuminato da improvvisi bagliori e poi di nuovo sepolto in una svagata e assente trance. Figlio di un maggiore dell'esercito britannico, a sedici anni ha vinto un concorso di poesia e fa continui riferimenti alla cultura francese. Curiose coincidenze con la figura di Jim Morrison. Doherty è a suo modo delicato, fragile come un giunco allampanato, un viso d'angelo coi denti sporchi e le dita annerite.

Nel primo brano del Cd, "La belle et la bête", una voce femminile canta: "Is she more beautiful than me?". E' la "bella" Kate?
"Chi? Oh sì, è Kate, lei ha una bella voce, una voce meravigliosa. Quando siamo insieme cantiamo spesso, abbiamo registrato alcune cose. Lei è una grande fan dei Rolling Stones. Adesso è occupata, mi manca, ma preferisce non vedermi finché non avrà finito la riabilitazione. Ma sta andando bene, andrà tutto bene".

E' vero che lei conosce il nome di chi ha venduto le immagini rubate di Kate che assumeva droga nello studio di registrazione?
"Sì, lo so, so chi è stato, e del resto l'hanno capito tutti, è uno che era vicino a noi, credevo fosse un amico, ma ora avrà il fatto suo".

Non ne rivela il nome, ma è noto che qualche tempo fa Doherty ha licenziato il suo manager, James Mullord, il quale ha negato ogni accusa, sostenendo anzi di aver sempre protetto Pete come fosse un fratello. Di serpenti ce ne sono parecchi intorno a lui. Con Johnny Borrell, il cantante dei Razorlight, ("Un serpente velenoso" lo definisce Doherty) è finita a microfonate. Col vecchio amico dei Libertines, l'ex socio Carl Barat invece, dopo una saga di scontri, risse, denunce, c'è stato un riavvicinamento. Ma ora Pete ha la sua propria band. "Coi Babyshambles è diverso" racconta Doherty "facciamo sul serio, le cose le vogliamo portare fino in fondo. Non mi ero mai sentito prima così in una band. Ogni volta che salgo sul palco sento una scossa, e non ci sono litigi".

Il nuovo disco, possiamo considerarlo un concept album?
"Non ho idea, ho solo messo una canzone dopo l'altra, di fatto mi devi sparare per farmi raccontare una storia fino in fondo. Però potrebbe essere: il produttore, Mick Jones, ha voluto che le cose venissero fuori spontaneamente e poi le ha messe in un certo ordine".

Pete si interrompe, socchiude gli occhi per un attimo. Mr. Doherty? "Mi deve scusare, abbiamo suonato tutta la notte, qui al piano di sopra, ho portato le attrezzature, abbiamo registrato delle cose".

Mick Jones dei Clash. Com'è stato lavorare con lui?
"Ha avuto molta pazienza, ha sopportato lo scandalo delle foto di Kate sui tabloid, le perdite di tempo, l'arresto, tutta quella violenza dei media, è stato bravo, sì, ci ha lasciato liberi, il disco suona come se fossimo lì, in diretta, è esattamente quello che avevo in mente".

Nel disco si avverte un'atmosfera di totale libertà espressiva. Ma il resto del rock non trova sia troppo compromesso con l'industria?
"Il resto del rock? Non so, c'è molto di falso.... per me il mercato non significa nulla, all'inizio coi Babyshambles registravamo cose a casa mia e le mettevamo direttamente in rete".

E ora?
"Non so, non sono particolarmente connesso in questo periodo".

Bussano alla porta. Appare il direttore dell'albergo, un marcantonio nero, molto compassato. Dice: "Questa è l'ultima notte. Domani devi andartene. Neanche in Africa succedono certe cose": Pete risponde dolcemente poi torna a raggomitolarsi sul divano. "È molto arrabbiato. Mi dispiace molto". Sembra davvero contrito, come se non ne potesse più dei guai che si porta dietro. Del resto è stato anche più volte in prigione e questa esperienza lo terrorizza: "È come stare all'inferno sulla terra. La cosa che più mi dava fastidio erano i rumori. La notte erano tremendi". Tira fuori un rosario nero, lo sgrana, ci gioca, ne ha un altro intorno al collo.

Lei è religioso?
"No, non proprio. Mi piace questo oggetto, mi piace toccarlo".

Nel disco ricorre spesso la parola amicizia, lealtà. È la cosa più importante?
"No, non penso, l'amicizia no, la cosa più importante è l'amore, il vero amore".

(27 ottobre 2005)

sabato 16 dicembre 2006

Bimbetto Master

giovedì 14 dicembre 2006

Vanessa




And alarm bells ring
when you say your heart still sings
when you're with me.
[Music when the lights go out; The Libertines]

mercoledì 13 dicembre 2006

Il tramonto del sole romantico

(C. BAUDELAIRE)

Oh, quanto è bello il sole che sorge allegro e forte
e il suo buongiorno ci lancia come uno scoppio rosso!
felice che ne può con animo commosso
salutare, gloriosa più d'un sogno, la morte!

Ricordo!... Ho visto tutto, la fonte, il solco, il fiore,
anelar come vivido cuore sotto i suoi sguardi.
Corriamo all'orizzonte, presto, corriamo, è tardi,
che non ci sfugga almeno l'ultimo obliquo ardore!

Ma io rincorro invano il Dio che s'allontana;
stende l'ineluttabile Notte su noi, sovrana,
le abbrividenti ali, funeste, umide, opache.

Un olezzo di tomba nelle tenebre si diffonde,
e il mio timido piede ai margini dello stagno
si imbatte in rospi imprevisti, umide lumache calpesta.

martedì 12 dicembre 2006

Pete Doherty Portrait


Pete Doherty by ~bAdMaRk on deviantART

Fatto ieri, in un paio d'ore, in matita.
Peccato che la scansione ha fatto perdere il più dell'effetto plastico...

domenica 10 dicembre 2006

In Bloom

NIRVANA
In bloom

Sell the kids for food.
Weather changes moods.
Spring is here again.

Reproductive glands.

He's the one who likes all the pretty songs.

And he likes to sing along.

And he likes to shoot his gun.

But he knows not what it mean.

Knows not what it mean.

And I say yeah.


We can have some more.

Nature is a whore.
Bruises on the fruit.

Tender age in bloom.


In fiore

Vendi i bambini per mangiare.
Il tempo cambia gli umori.
La primavera è di nuovo arrivata.
Ghiandole riproduttive.

Lui è quello che ama tutte le canzoni carine.
E ama cantarle a squarciagola.
E gli piace sparare con la sua pistola.
Ma non sa cosa significhi tutto questo.
Non lo sa cosa significhi.
E io dico yeah.

Potremmo avere qualcosa di più.
Madre Natura è una troia.
Ammaccature sul frutto.
Tenera età in fiore.

TCM: The Beginning

Non Aprite Quella Porta: L'Inizio

TRAMA_
I fratelli Dean ed Eric Hill stanno per andare a combattere in Vietnam e prima di raggiungere i loro battaglioni decidono di regalarsi una vacanza spensierata in Texas insieme alle loro ragazze, Bailey e Chrissie. In realtà, per il giovane Dean lo scopo del viaggio è anche quello di trovare una via per disertare e riuscire a convincere suo fratello maggiore, già arruolato nel corpo dei Marines, a non partecipare alla guerra. Purtroppo, quello che inizia come un viaggio tranquillo e sereno si trasforma per le due coppie in un incubo...

COMMENTO_
Visto ieri sera al cinema. Ad opera di Jonathan Liebesman ecco la storia della nascita di Leatherface, dei suoi primi omicidi, della sua prima motosega (!).
Purtroppo l'indagine sui primi (circa 20) anni di vita del "mostro" e quella sulla sua famiglia si riducono solo alle prime scene (massimo una quindicina di minuti), ragion per cui non vengono approfonditi alcuni aspetti fondamentali (la sua malattia? la sua infanzia? la nascita del suo odio? il motivo della pazzia dello "sceriffo"?) e quindi il film fatica ad emergere rispetto alla massa di horror odierni, anche se è innegabile che un certo fascino lo possiede in ogni caso, grazie alla fotografia sgranata e pesante, all'atmosfera malata (Rob Zombie docet?) e alla dose maggiore alla norma moderna di splatter e di scene macabre, anche se a volte si rischia di cadere veramente nel ridicolo ("e questa lingua, di chi è?").

voto: 7

sabato 9 dicembre 2006

Vertigo

THE LIBERTINES
Vertigo

Koreema know just what it is she does
It cant be hard for her to get a buzz
Down in the street below
You can hear the drunken archangel sing
"I know whats on your mind my boy
I can see oh everything
Lead pipes are fortune made
Well Take a tip from me
Climb up to her window ledge or you'll forever be

Just walking under ladders as the people round you hear you crying please
As the people round you hear you crying please
Please"

"Lead pipes are fortune made
Well Take a tip from me
Climb up to her window ledge or you'll forever be

Just walking under ladders as the people round you hear you crying please
As the people round you hear you crying please
Please"

Who really knows just what it is she does
It cant be hard for her
To get a buzz
The rapture of vertigo
And letting go
Me myself i was never sure
Was it the liquor
Or was it my soul?


Vertigine

Koreema sa solo cos'è quello che fa
Non dev'essere difficile per lei ottenere una conversazione
Laggiù in strada
Tu puoi sentire cantare l'arcangelo ubriaco
"Io so cosa ti passa per la mente, ragazzo mio
Io posso vedere oh tutto quanto
I conduttori isolati sono i creatori della Sorte
Quindi lasciami una mancia
Arrampicati sul davanzale della sua finestra o resterai per sempre

Camminando sotto le scale mentre la gente intorno ti sente supplicare aiuto
Mentre la gente intorno ti sente supplicare aiuto
Aiuto"

"I conduttori isolati sono i creatori della Sorte
Quindi lasciami una mancia
Arrampicati sul davanzale della sua finestra o resterai per sempre

Camminando sotto le scale mentre la gente intorno ti sente supplicare aiuto
Mentre la gente intorno ti sente supplicare aiuto
Aiuto"

Chi sa cos'è veramente quello che fa
Non dev'essere difficile per lei
ottenere una conversazione
L'estasi della vertigine
E lasciar correre
Me, me stesso, io non sono mai stato sicuro
Era il liquore
o la mia anima?

venerdì 8 dicembre 2006

Malasorte

(C. BAUDELAIRE)

Per sollevare un così grande peso,
Sisifo, il tuo coraggio ci vorrebbe!
Per quanto ardore s'abbia nell'impresa,
l'arte è lunga e il tempo è breve.

Lontano dalle sepolture celebri,
verso un cimitero isolato,
il mio cuore, tamburo velato,
va battendo marce funebri.

Quanti gioielli dormono sepolti
nell'oblio e nelle tenebre,
lontano dalle zappe e dalle sonde;

quanti fiori effondono il profumo,
dolce come un segreto, con rimpianto,
nelle solitudini profonde.

Bellissimo sonetto di Baudelaire che parla dell'impossibilità di sconfiggere la Morte e della difficoltà di lasciare una traccia indelebile di noi nel mondo terreno.
Le ultime tre stanze mettono in rilievo la disequità della Sorte di fronte ai meriti reali di coloro che verranno ricordati nei secoli: si tratta per larga parte di questione di fortuna, sono innumerevoli gli artisti meritevoli che, una volta defunti, rimangono nell'oblio, come fiori che effondono il loro profumo irresistibile nelle profondità di uno strapiombo.
Paradossalmente proprio questo è diventato uno dei componimenti più famosi del poeta maledetto per eccellenza, nonchè uno dei manifesti del suo decadentismo.

giovedì 7 dicembre 2006

L'albatro

(C. BAUDELAIRE)

Sovente, per diletto, i marinai catturano degli albatri,
grandi uccelli marini che seguono,
indolenti compagni di viaggio,
il bastimento scivolante sopra gli abissi amari.

Appena li hanno deposti sulle tavole,
questi re dell'azzurro, goffi e vergognosi,
miseramente trascinano ai loro fianchi le grandi,
candide ali, quasi fossero remi.

Com'è intrigato, incapace, questo viaggiatore alato!
Lui, poco addietro così bello, com'è brutto e ridicolo.
Qualcuno irrita il suo becco con una pipa mentre un altro,
zoppicando, mima l'infermo che prima volava.

E il Poeta, che è avvezzo alle tempeste e ride dell'arciere,
assomiglia in tutto al principe delle nubi:
esiliato in Terra, fra gli scherni,
non può per le sue ali di gigante avanzare di un passo.


La composizione probabilmente composta tra il 1843 e il 1846 forse come ricordo di un viaggio all'isola Bourbon ha un chiaro significato simbolico. Essa evidenzia la contraddizione tra il volo alto e spiegato degli albatri ( la cui apertura alare arriva fino ai quattro metri ed i cui spostamenti avvengono solo ad alta quota ) e l'impaccio evidente di questi uccelli a muoversi sulla tolda della nave, che pure seguono pazientemente con i loro spostamenti aerei.
Il poeta appare - come l'albatro - goffo, lento, impacciato a muoversi tra la folla, incompreso, sbeffeggiato e deriso per la sua incapacità a condividere i valori di una società che lo condiziona e nega nello stesso tempo l'alto ideale della bellezza poetica. Il poeta appare debole e indifeso quando cala tra la gente comune; immerso nella quotidiana comunicazione è incompreso, tremendamente solo e melanconico.

Tuttavia per il poeta è possibile anche la rigenerazione artistica; egli sa elevarsi al di sopra della realtà, sa vedere le cose con altri occhi, sa volare in alto per trascendere il male umano; sa trasformare in bellezza poetica ( i fiori ) anche le bassezze più atroci della società ( del male ). Il volo è metafora di elevazione, di distacco, di superiorità estetica e morale, orgoglio temerario di saper volgere lo sguardo verso il sole accecante o di saper attraversare immune le tempeste del dolore.
Accanto a questa fiducia se c'è sempre tuttavia la consapevolezza della caduta possibile e quasi immancabile, che riporta il poeta a fare i conti con la sua società, in un rapporto disarmonico che lo riconduce alla solitudine tra una folla nemica.

domenica 3 dicembre 2006

The Libertines - Up the Bracket

THE LIBERTINES - UP THE BRACKET (2003)

Se Pete Doherty è considerato uno dei personaggi più significativi della musica rock attuale, la cosa non si deve solo al suo stile di vita che definire sregolato è un eufemismo o alla sua relazione con la modella strapagata Kate Moss. Pete fino al 2004 è stato anche il frontman di una band (i Libertines, formati oltre a lui da Carl Barat, John Hassall e Gay Powell) che di fatto non ha inventato nulla nella storia del rock, ma è riuscita a portare sulla scia dei newyorkesi Strokes una sferzata di freschezza e di irruenti ballate post-punk ad una scena (quella inglese degli ultimi vent'anni) che di musica rock sanguigna e insolente, ma contemporaneamente armoniosa e trascinante, ha sentito clamorosamente la mancanza, dopo l'età dell'oro del Settantasette caratterizzata da band come Sex Pistols, Clash, Adverts e Smiths.
Il loro disco d'esordio, "Up the Bracket", prodotto dall'ex Clash Mick Jones, esce nel 2003 e fa subito il botto, ricevendo ottime recensioni da parte della critica e facendo diventare i Libertines una delle band più interessanti del panorama mondiale, in grado di tenere vivo con un'altra manciata di gruppi (i già nominati Strokes, i Vines, gli Hives, i Datsuns) lo spirito del rock'n'roll più seminale e "garagelandiano" in un'epoca in cui le sonorità che spopolano tra i giovani sono riconducibili alle pseudo-musiche truzze-discotecare.
E se da una parte il fautore di questo splendido album è il già menzionato Pete Doherty, dall'altra quest'ultimo deve dividere la scena principale con un'altra personalità di spicco, il suo migliore amico Carl Barat, autore di più della metà dei pezzi contenuti in questo disco. I due sono molto diversi come carattere, quasi complementari, ed è questo probabilmente che porterà la band allo sfascio qualche mese più tardi. L'album è senza mezzi termini un capolavoro: raramente una band europea da vent'anni a questa parte ha saputo unire con più naturalezza ed armonia l'irruenza del punk (pre)settantasettino e la vena romantica e introspettiva che troppo spesso mancava a quella scena: e se non di rado i Libertines sono stati etichettati dalle riviste e dalle fanzine come "i nuovi Clash", probabilmente sarebbe più sensato annotare tra le influenze dei quattro nomi come New York Dolls, Stooges, Richard Hell, Heartbreakers, Ramones, tutte band insomma della scena proto-punk newyorkese degli anni Settanta.
Pete Doherty (che è un vero e proprio poeta maledetto, poeta ancora prima di cantante e chitarrista: non a caso "I fiori del male" di Charles Baudelaire figura tra i suoi libri preferiti e alla tenera età di 16 anni vinse anche un concorso di poesia) possiede un grande talento nell'unire queste due componenti, anche se preferibilmente (e forse anche un po' inaspettatamente) si dedica con più frequenza alla stesura di ballate intimiste e disincantate, che fanno venire i brividi lungo la colonna vertebrale a sentirle: la sua voce calda è davvero capace di emozionare chiunque sia quando descrive un ipotetico viaggio attraverso tutto il globo terrestre nella celeberrima "Radio America", sia quando racconta con malinconia e rassegnazione il cinismo e la cieca indifferenza che sembra andare sempre più di moda nei meccanismi della società attuale nella struggente "Tell the king", episodio che fornisce nell'ultima strofa un fedele quadretto autobriografico dello stesso Pete, ragazzo fragile che si è "fumato la vita, vivendo sulle rovine di un castello edificato sulla sabbia". Ma non di sole ballate vive una rock band, e allora ecco lo sfrontato frontman lanciarsi in veri e propri deliri dal retrogusto punk, come per esempio l'opening-track "Vertigo", canzone che parla dello stato di ebrezza causato dall'alcool e delle sue conseguenze o nella traccia finale "The good old days", nella quale con un aforisma che è già leggenda Pete manifesta la propria visione della vita affermando: "Se hai perso la fede nell'amore e nella musica, la fine non dev'essere lontana". Ma il capolavoro dohertiano dell'album è probabilmente quella "Time for heroes" che non a caso è stata scelta come primo singolo, una poesia strafottente ma nello stesso tempo toccante ispirata dalle liriche riottose dei Clash di Joe Strummer, nella quale Pete racconta un terrificante quadretto di una manifestazione di protesta ("Siamo stati spalati come letame/Abbiamo messo la notte e ferro e fuoco/Ventri sanguinano, manganelli e scudi"), critica la mediocrità della consapevolezza sociale dei giovani d'oggi ("Ci sono panorami un po' meno ristretti di quello/Di un inglesotto con un cappellino da baseball") e si arrende nella consapevolezza -ma anche nell'orgoglio- di una ristretta mobilità sociale nella società attuale ("Moriremo nel ceto dove siamo nati"). E se in "Death on the stairs" Doherty propone una filastrocca nella quale le liriche paradossali e la melodia in levare si discostano fin dall'inizio, nel secondo singolo, l'irruente title-track "Up the bracket", manifesta la sua devozione al rock'n'roll più incalzante e sguaiato.
Carl Barat invece è più esuberante, meno fragile e introspettivo e ama darci dentro con la chitarra: lo si capisce anche ascoltando alcuni pezzi che lo vedono al microfono principale: in "Horror Show" si candida a novello Richard Hell sgolandosi per manifestare la sua delusione per un mondo che non va come dovrebbe andare ("Lei mi ha detto/Ti mostrerò un immagine/Un immagine di domani/Non c'è niente di cambiato/E' tutto dolore"), così come in "The boy looked at Johnny" Carl prende ancora in prestito l'impronta vocale del newyorkese Richard per portare in scena un becero quadretto della notte sbandata della Grande Mela e della Soho londinese ("New York è così bella di notte/Ma non ti dimenticare Soho"). E se "Begging" è una tipica canzone di british rock, nella sarcastica "Boys in the band" Barat critica le rockstar del giorno d'oggi, più interessati al risultato delle vendite che non all'attitudine e alla sostanza ("So che ti piace la sterzata di una limousine").
I Libertines pubblicheranno ancora un album, nel 2004, intitolato semplicemente con il loro nome, meno aggressivo e perfetto nella forma ma non per questo meno valido; qualche mese dopo la pubblicazione avviene lo sfaldamento della band in seguito ad un litigio tra Pete (che a a formare i Babyshambles) e Carl, ma voci di corridoio parlano di un recente riavvicinamento dei due in vista di un nuovo progetto futuro. Libertines 2? Si vedrà, per il momento godiamoci questo gioiello.

voto: 9



"He drinks and smokes his cares away
His heart is in the lonely way
Living in the ruins
Of a castle built on sand"